E’ pomeriggio quando qualcuno in ufficio siede alla scrivania, impegnato tra scartoffie varie. Un anno prima, le sue aspettative erano altre. Si rende conto che lo status quo gli va stretto e che i suoi orizzonti sono altri. Non sa che di lì a poco la sua vita cambiera’. Alle 17,10 riceve una telefonata. Lo chiamano in una Scuola del nord e deve dare una risposta immediata. Decide di partire e quella sera stessa lascera’ la Sicilia. Alle 19.10 e’ gia’ sul treno alla ricerca del posto assegnatogli. Dopo un frugale panino comprato al bar della stazione, si accinge a trascorrere la notte. Sono trascorsi 32 anni da quella notte e nonostante tutto, egli e’ rimasto lo stesso di quando lascio’ il borgo natio. Ma allora, perche’ non riprendere la via di casa? Perche’ rimanere significa veder morire. In fondo ci si allontana per non veder morire, per abituarsi al distacco e anticipare le sue mosse, inoculandolo in piccole dosi, come per un’amorosa omeopatia, attraverso periodiche scomparse, per assuefarsi all’oblio duraturo, per addestrarsi alla privazione. Inabissandosi gradualmente tra cio’ che e’ lontano, ci rassegnamo lievemente a perdere cio’ che e’ piu’ vicino all’anima nostra. E poi, di tanto in tanto, concedersi una resurrezione, rigenerarsi in un ritorno, portando nel proprio mondo il patrimonio di immagini, conoscenze ed esperienze, altrove attinte. Il borgo natio resta la meta del ritorno, la terra promessa, perche’ la’ riposa l’origine e piu’ si avverte il calore del sole!