di Giuseppe Balestrieri –
Le emozioni più belle spesso sono quelle inaspettate, quelle che giungono all’improvviso senza una lunga programmazione ed un’estenuante attesa.
Al termine della rappresentazione teatrale della scorsa domenica de “Il Piccolo Principe in arte… Totò” di Antonio Grosso presso il Nuovo Teatro “Val d’Agrò” di Santa Teresa di Riva non sono riuscito a trattenere la commozione e con gli occhi umidi ho ringraziato chi aveva reso possibile quell’incanto e chi crede ancora oggi che l’arte sia un valore aggiunto dell’umanità in qualsiasi forma venga presentata.
Un piano rialzato di pochi metri quadrati si trasforma nell’immaginario di chi osserva in una nave, in una camera da letto, in uno studio, in una piazza e in qualunque altro luogo dove la storia che viene raccontata vuole trasportarci; interpreti audaci ed ispirati riescono, anche in assenza di eclatanti scenografie, ad immergerti in una dimensione estemporanea con parole e gesti misurati a tratti chirurgici.
E quando l’alchimia è giusta accade la magia; il racconto prende la forma di continue visioni e parallelismi del primo Novecento ed il ragazzo povero e generoso che preparava i funerali degli animali domestici del quartiere pian piano diventa la maschera più famosa della comicità nazionale.
Lo sfondo della capitale borbonica del Regno delle Due Sicilie si materializza nelle sue contraddizioni, ed il calore tipico della gente partenopea ha un impeto devastante tanto nell’amare quanto nel ferire e far male; Napoli è una perla rara e la sua aria è preziosa ed il suo odore ha il sapore della liberazione e della pace ma a volte per capirlo bisogna allontanarsi dal suo sanguigno ardore.
E il vero successo giunge nell’altra capitale, la città eterna; fra mille difficoltà e tanti chilometri macinati a piedi nelle strade di Roma arrivafinalmente l’occasione giusta e Antonio De Curtis diventa indimenticabilmente Totò.
Tutti i teatri italiani lo aspettano, le maggiori città se lo contendono ma è il ritorno a Napoli che lo consacra definitivamente accogliendo il suo genio e donandogli l’apprezzamento che lui desiderava dalla sua città.
Antonio Grosso e Antonello Pascale guidano magistralmente questo viaggio senza uscire mai di scena in una continua rincorsa dei sentimenti sino alla fine; sono partenopei e come tali cresciuti a “pane e Totò” ed il loro trasporto è palpabile, si avverte dalla mimica, si sente dal tono della voce e la fusione è praticamente perfetta.
Una sera a teatro… all’improvviso,inaspettata e molto, molto gradita. Custodire l’arte significa preservare la cultura ed è ammirevole e lodevole l’impegno di chi, con ostinazione e dedizione, tiene viva questa speranza.