Intervista al Prof. Ugo Terracciano, criminologo, docente universitario, già Primo Dirigente della Polizia di Stato.
In foto il Prof. Ugo Terracciano
A chi di noi non è mai capitato di andare in Pronto Soccorso per un malessere, o di accompagnare un familiare o un amico ed assistere ad episodi di violenza? Io stessa, più di una volta, ho firmato per essere dimessa, senza essere stata visitata, solo perché sotto i miei occhi accadeva l’inaudito. Aggressioni a medici, infermieri e operatori socio-sanitari attuate da parte di pazienti, alcuni con evidenti problemi psichiatrici, altri incapaci di gestire il proprio nervosismo nella lunga attesa per poter essere visitati, tensione emotiva, frustrazioni varie, dipendenze da alcol e/o droghe, utilizzo di psicofarmaci. Le cause scatenanti possono essere tante e varie, sicuramente molto è strettamente legato alla carenza di personale, che appunto aumenta l’attesa in uno stato di frustrazione esasperante. Proprio per questo ho contattato il Prof. Terracciano per proporgli un’intervista al fine di farmi illustrare gli aspetti criminologici di questo fenomeno e lo ringrazio per aver accettato. Quest’intervista, non di carattere scientifico, ma solo informativo rivolta ad un pubblico di qualsiasi cultura e qualsiasi fascia d’età, mira al volgere un obiettivo realista sulla criminalità e sulle condizioni lavorative italiane per vedere come attraverso una finestra aperta sia il tunnel sia una possibile via d’uscita. Proprio perché, il fenomeno della violenza negli ospedali è un problema serio e purtroppo in crescita, che colpisce principalmente il personale sanitario, ma può coinvolgere anche pazienti e familiari con tipologie di violenza differenti: verbale, fisica, psicologica o addirittura sessuale. Attualmente, secondo l’INAIL, ogni anno si registrano migliaia di casi di aggressioni a personale sanitario; Gli ospedali di Pronto Soccorso, psichiatria, medicina d’urgenza e servizi territoriali sono i più colpiti; La violenza verbale supera l’80% dei casi, ma quella fisica è in crescita. Sicuramente, molto è dovuto al fatto che ci sia una forte carenza di personale sanitario. Situazioni che hanno comportato una sorta di alta sensibilizzazione che ha anche visto, tramite la Legge 113/2020 (Italia), l’istituzione della Giornata nazionale contro la violenza verso gli operatori sanitari e che prevede tutele legali più forti con un aumento delle tecnologie di videosorveglianza e la presenza di forze dell’ordine in ospedale. Ma, adesso lascio la parola al Prof. Terracciano: Quali sono le principali cause e le principali criticità che hanno portato ad un aumento di questo fenomeno? «Come per ogni fenomeno deviante le cause del fenomeno delle aggressioni al personale sanitario sono complesse. Di sicuro la casistica si iscrive in una generale spinta all’aggressività che oramai caratterizza molti momenti della vita quotidiana delle persone. Nei casi più gravi il bullismo, lo stalking nei rapporti affettivi, la violenza in famiglia, le baby gang, fino alle manifestazioni aggressive più sottili e psicologiche. In altre parole l’aggressività nelle relazioni sociali è quasi un fatto accettato. Si pensi ai cosiddetti “leoni da tastiera” che sfogano la loro indole aggressiva con una violenza verbale esercitata al riparo del video del computer o del telefonino. A tutto questo si aggiunge l’individualismo imperante che induce le persone a collocarsi al centro del proprio mondo come primi e privilegiati titolari di diritti. Per cui è oramai frequente vedere anche in luoghi deputati all’aiuto e alla cura delle persone, soggetti intolleranti, ignari delle difficoltà oggettive che una struttura di pronto soccorso deve affrontare in ogni momento, ma reattive in modo prepotente e violento. Con l’idea che in quel momento esista solo il proprio problema (o quello del proprio congiunto) senza comprendere la complessità dell’ambiente. Così si passa dalla violenza verbale, sintomo del mancato riconoscimento del ruolo di chi ti sta di fronte, alla violenza fisica sintomo di sopraffazione di un individuo non solo sul medico o sull’infermiere, ma sull’intera struttura sanitaria come e fosse una cosa tua da poter prendere a calci». Quali possono essere le strategie da attuare per arginare la situazione e prospettare un ritorno alla normalità? «Quando parliamo di fenomeni di devianza sociale, nel nostro caso di tendenze violente diffuse, il problema è di tipo culturale e quindi di difficile soluzione. In sostanza è una questione di cultura o meglio di incultura, e di etica. Quello che sorprende è che le notizie relative alle aggressioni nei pronto soccorso non fanno quasi più nemmeno cronaca. Significa che tali comportamenti non contrastano più di tanto con l’etica diffusa e quindi non creano allarme se non nei luoghi interessati. Trent’anni fa una persona capace di aggredire un infermiere o un medico sarebbe stata stigmatizzata alla stregua di un delinquente pericoloso. Oggi, nella migliore delle ipotesi, ci si interroga sulle ragioni magari pensando che alla fine le colpe non stiano solo da una parte. Ecco che allora si parla di medici stressati, di personale sanitario sotto organico e di altre carenze organizzative per giustificare un’utenza violenta come se l’aggressività fosse una reazione fisiologica. Ma non lo è. Se agire sul piano culturale non è semplice perché un’inversione di tendenza dovrebbe partire da lontano e probabilmente dalla pedagogia stessa, ciò non significa che non possano essere studiate delle soluzioni di tipo protettivo. Soluzioni che passano innanzitutto dalla formazione del personale più esposto: esistono tecniche di raffreddamento delle tensioni e di gestione delle situazioni critiche. Le stesse aziende ospedaliere si devono far carico del problema che si iscrive nella famosa sicurezza dei luoghi di lavoro. I piani di sicurezza non devono includere solo i rischi nell’uso di determinati macchinari (pensiamo alla radiologia, per esempio) ma anche quello che gli esperti, e la stessa Corte Europea, definiscono “rischio antropico”, cioè prodotto dall’uomo (in questo caso l’eventuale aggressore). In molti casi occorrerebbe mettere mano anche alla strutturazione degli ambienti, ad esempio attraverso la compartimentazione degli spazi, separando in maniera stagna quelli di accesso del pubblico dagli ambulatori. Ovvio che poi anche i sistemi tecnologici possono dare il loro contributo. Si pensi alle telecamere che consentono di registrare le prove di quanto accade per consentire, grazie alle nuove leggi, anche l’arresto dopo 48 ore dall’evento. Poi, di sicuro l’aver equiparato sul piano penale l’aggressione alla resistenza ad un pubblico ufficiale e aver aumentato le pene può essere un deterrente importante». Quali sono gli obiettivi dell’associazione AICIS (Associazione Italiana Criminologi per l’investigazione e la Sicurezza)? «I temi della devianza, della prevenzione di pubblica sicurezza oltre che quelli dell’indagine e delle scienze forensi sono alla base della formazione erogata dall’AICIS, ma non solo: tra nostri soci professionisti qualificati militano esperti molto preparati. Sul tema della violenza in ambito sanitario, in particolare, si è formato un team composto da giuristi, psicologi, criminologi e security manager, che ha elaborato un progetto operativo. Proprio pochi giorni fa, il 7 aprile 2025, presso l’Università di Taranto nel corso di un evento dedicato alla tematica, i nostri professionisti hanno avuto modo di illustrarlo e di promuovere un confronto ad ampio spettro». Quali sono i prossimi eventi di AICIS in agenda? «Ci attende un importante evento che abbiamo organizzato a Trento, il 16 maggio prossimo presso la sala della provincia, per avviare un confronto di esperienze tra oriente e occidente i tema di sicurezza urbana. Saranno presenti relatori provenienti dalla Cina, dagli USA e dalla Spagna oltre che valenti esperti nazionali».
Dr.ssa Prof.ssa Tiziana Mazzaglia
Giornalista pubblicista